L’industria in Italia continua a non decollare. Dopo qualche mese di oscillazione, infatti, il tasso di produzione a settembre è tornato a scendere, con l’Istat che ha registrato un calo dell’1,7 per cento su base mensile, mentre secondo il Centro studi di Confindustria il calo sarebbe addirittura dell’1,8 per cento. Tuttavia, si segnala anche un aumento dell’attività (sotto al punto percentuale), almeno rispetto allo scorso trimestre.
I rimbalzi di attività. I tecnici di Confindustria parlano di rimbalzi di attività, situazioni molto frequenti nei mesi estivi e coerenti con il moderato incremento del Pil, che ha rialzato la testa dopo la stagnazione rilevata in primavera. Questo quarto trimestre del 2016, dunque, eredita una variazione congiunturale della produzione industriale pari al meno 0,6 per cento. Situazione inversa, invece, si è verificata in altri Paesi europei, dove i rimbalzi hanno avuto segno positivo: è il caso della Germania (+ 2,5 per cento contro il + 1,0 per cento previsto), Francia (+ 2,7 contro lo 0,7 per cento atteso) e Spagna (+ 1,4 per cento contro il + 0,2 per cento).
Valori incerti per le imprese. A esser più allarmanti sono le indagini qualitative condotte presso le imprese manifatturiere italiane, che descrivono ancora un contesto debole e caratterizzato da estrema incertezza; anche le valutazioni degli imprenditori restano prudenti, e il tasso che misura la fiducia è salito solo di 0,8 punti in settembre (dopo che ad agosto era crollato di -1,8 punti), spinta dalle valutazioni che appaiono più ottimistiche su ordini e livelli di produzione, mentre sono meno favorevoli le aspettative.
Il Nord continua a correre. E in questo scenario, a perder competitività sono soprattutto le città del Sud e del Centro Italia, a partire dalla Capitale. È infatti Torino che si rivela la città più “manifatturiera” d’Italia, registrando il più alto indice di concentrazione urbana del manifatturiero e consistenza del settore, mentre l’altro pilastro del Settentrione, Milano, è al primo posto nella graduatoria dell’ecosistema innovativo delle maggiori città italiane, con 797 startup innovative, di cui 67 che si occupano specificamente di manifattura digitale. E non è un caso che una delle aziende più attive sul binomio “web e prodotti industriali” abbia la sua base proprio al Nord, nella provincia di Bergamo: parliamo dell’azienda dei F.lli Frigerio Spa, che in breve ha conquistato un ruolo di rilievo nel comparto dell’utensileria meccanica e dei componenti di automazione industriale online.
Manifattura in crisi. È quello che emerge da un rapporto del Censis intitolato “Dallo smontaggio della città-fabbrica alla nuova manifattura urbana”, nel quale si sottolinea che fra il 2009 e il 2016 il sistema – Paese ha perso quasi 55 mila imprese, vale a dire il 9,2% del totale, che ha prodotto una diminuzione – fra il 2008 e il 2013 – di circa 30 miliardi di euro di valore aggiunto. Di pari passo vanno interpretati i dati Istat sulle forze di lavoro, che invece segnalano una contrazione di occupati nel manifatturiero di oltre il 9 per cento fra il 2009 e il 2015, nettamente più alto dell’1% registrato dall’intero sistema economico.
La situazione a Roma. Come accennato, Roma non esce bene da questa indagine, e si posiziona molto in basso nella classifica sull’impronta manifatturiera cittadina, anche perché la forte vocazione terziaria della città, che per anni ha svolto una funzione anticiclica, adesso non è riuscita a invertire la tendenza. Eppure, la Capitale si posiziona al secondo posto tra i capoluoghi più innovativi d’Italia, vantando inoltre il 27 per cento degli occupati nel settore “industria in senso stretto” che ha conseguito una laurea.
Manifattura digitale anche nella Capitale. Per Roma, dunque, diventa fondamentale intercettare la rivoluzione della manifattura digitale, che apre “importanti scenari di sviluppo per la nostra città in funzione della presenza di elementi fondamentali per un pieno sviluppo di questo settore”, come dichiara Lorenzo Tagliavanti, Presidente della Camera di Commercio di Roma, facendo riferimento in particolare “all’elevata dotazione di capitale umano qualificato, al contesto culturale stimolante e favorevole all’innovazione, alla presenza dei più importanti centri di ricerca e università del Paese”. È da qui, dunque, che deve ripartire l’industria nella Capitale.