Le varie componenti dell’ampia categoria dei beni e delle attività culturali hanno avuto, nel corso degli ultimi decenni, una evoluzione differenziata che ha evidenziato le particolari esigenze espresse da ciascuna componente. Così, per quanto riguarda il paesaggio, si è passati da una nozione di natura estetica (le “bellezze naturali”) ad una nozione incentrata sui caratteri identitari dei luoghi; mentre, per quanto riguarda le cose di interesse artistico o storico, l’attenzione si è spostata dalla prevalente finalità di conservazione alla nozione di mezzo per l’elevazione della cultura e quindi alla valorizzazione, intesa come destinazione alla fruizione collettiva del bene di interesse artistico o storico. Anche i beni di interesse archeologico presentano un interesse che possiamo chiamare storico, ma per essi la storicità assume connotati particolari, in quanto il loro interesse culturale e scientifico consiste nel consentire di ricostruire passate civiltà, attraverso la testimonianza che ne forniscono. La Convenzione di Londra del 1969 stabilisce infatti che “sono considerati patrimonio archeologico le vestigia, gli oggetti e qualsiasi altra traccia di esistenza umana, costituente una testimonianza di epoche e civiltà di cui la principale o una delle principali fonti di informazione scientifica è costituita da scoperte e scavi archeologici”. Ciò spiega il permanere di una assoluta prevalenza della finalità di conservazione statica, che va dalla riserva di proprietà dello Stato di cose comunque “ritrovate”, al monopolio statale degli scavi archeologici, al tendenzialmente assoluto divieto di ogni intervento non solo direttamente sul bene archeologico, ma anche se operato nella zona circostante o nella zona in cui è ipotizzabile la presenza di reperti archeologici.
Ferme tali indiscutibili premesse, è legittimo chiedersi anzitutto se e in quali forme sia possibile affiancare alla conservazione tipi di tutela dinamica, volta a incrementare l’uso pubblico, a favorire altri modi di conoscenza e di ricostruzione storica, ad assicurare l’autosufficienza economica della stessa tutela; e quindi quale possa essere in questo contesto il ruolo della sperimentazione e della progettazione architettonica, nel convincimento che il progetto possa essere un ulteriore e del tutto autonomo strumento di conoscenza da affiancare allo studio dei reperti e delle fonti storiche. Ed invero, progettare una anche limitata innovazione in un luogo è anzitutto interpretare il luogo stesso, perché il progettare è appunto un’operazione di conoscenza; nel caso delle aree archeologiche, di rilettura del passato attraverso il presente, la cui utilità è proprio di essere cosa diversa dalla lettura del passato con la sola contestualizzazione coeva. Da queste premesse è nata l’idea di un confronto tra cultori delle discipline dell’archeologia e dell’architettura perché essi possano scambiare saperi ed esperienze. All’interno di questo dialogo, che avrà probabilmente, ma anche positivamente, più di un motivo di conflitto, gli archeologi potranno esprimere le proprie esigenze valorizzando il ruolo della committenza, mentre gli architetti potrebbero mettersi alla prova proponendo risposte appropriate e conseguenti. Tutto ciò tenendo presente che in ogni epoca la continuità con l’antico ha trovato nel nuovo il suo luogo e il suo strumento. L’estensione dell’invito ai giuristi esprime la speranza che l’esito dell’incontro possa tradursi in una proposta concreta di cambiamento, occorrendo, anche delle normative concernenti questa tematica fondamentale.
Franco Purini, Paolo Stella Richter , Carmen Carbone.
Il convegno il cui tema si è sinteticamente esposto si svolgerà a Sperlonga il 6 e il 7 giugno
Verranno chiamati a partecipare come relatori: Archeologi, Architetti, Giuristi
Verrà richiesta la partecipazione al dibattito di organismi istituzionali: Ministero dei beni ambientali e culturali, Enti territoriali, Sovraintendenza ai beni archeologici, Ordine degli architetti, Università, Fondo ambiente italiano (FAI), Associazione Italiana Diritto Urbanistico (AIDU)
L’auspicata larga partecipazione dovrebbe consentire di concludere i lavori con una mozione operativa.